Eccomi, con un poco di anticipo
Ho modificato un po' la trama da come la pensavo l'anno scorso, che non mi piace più… o meglio l'ho completamente stravolta ahahah! Di conseguenza, scriverò capitolo per capitolo.
Spero di riuscire nel postare regolarmente e con una certa frequenza… ve lo devo dopo l'epic-fail dell'anno scorso con questa ff!
Ah, altra cosa: dagli ultimi post noterete uno stile alquanto differente… sono cresciuto!
In questo capitolo introduciamo alcuni nuovi ¿simpatici? personaggi… non erano previsti nella storia originale, ditemi che ne pensate!
Il narratore è interno, in prima persona… alternerò capitoli in prima persona a capitoli col narratore esterno onnisciente… spero vi piaccia!
Prima di leggere questo vi consiglio il Capitolo 4, ci sono vari riferimenti e collegamenti che potrebbero farvi scoprire cose interessanti!
Enjoy!!
"Il male più grande che questo mondo ha avuto la sfortuna di conoscere sta per scatenarsi. Non è la prima volta, Murtagh!"
-Thoa
"Quello di Galbatorix non è l'unico potere al mondo con cui dobbiamo confrontarci, e forse nemmeno il più grande."
-Solembum
Capitolo 5 - Ombre
Nuvole. Non mi sono mai piaciute le nuvole. Sanno di… niente. Non erano nere nubi di tempesta, quelle le ho sempre adorate, semplicemente insignificanti nuvole grigie che coprivano il sole.
Mi piaceva il sole. Era proprio con il suo supporto che le ombre erano più forti.
Potevano aggirarsi nella notte. Sotto i temporali. Sulle onde del mare e sui picchi delle montagne. Niente e nessuno era mai veramente al riparo dalle ombre.
I mortali attribuivano la forza delle ombre alle tenebre, all'oscurità. Ma in realtà era l'esatto contrario: il buio era per noi un fardello, ci indeboliva fino a quasi inghiottirci nella sua essenza.
Era proprio quando c'era più luce, che le ombre acquisivano il pieno potere.
Quando noi, acquisivamo il pieno potere.
«Svegliati!»
Chi osava disturbarmi in un simile momento di osservazione e riflessione?
Sapevo già la risposta.
«Cosa c'è?» risposi con indifferenza.
Mi fulminò con lo sguardo.
«Non essere stupida. So bene che tu lo hai avvertito meglio di me.»
Io la guardai e mi misi a ridere. Le risate rimbombavano nelle vallate, intorno a noi.
Mi piaceva quel posto. Era ottimo per vagare tra sogni e pensieri. Non esistevano montagne così desolate in nessun altro posto.
Lei continuò a guardarmi con rimprovero.
Feci qualche passo in avanti, arrivai vicino al bordo. Non c'era neve, solo rocce. Non erano monti alti.
Mi girai parzialmente verso di lei, ma non la degnai di uno sguardo. Ero divertita in quel momento.
«Era ora che quel bastardo cadesse.» commentai infine.
Lei ridacchiò: «Così impara a mettersi contro di noi, sorellina.»
Quel mortale ci aveva creato problemi in passato, molti problemi. Più di quanto qualunque altro essere era riuscito a fare.
Venne reclutato dai nostri schiavi. Avrebbe dovuto diventare uno di loro, e invece li tradì. Li uccise tutti. Un notevole atto di ribellione. Aveva accumulato un notevole potere nel processo, più di quanto un mortale ribelle dovrebbe avere.
Ma poco importava, ormai era caduto. Lo avevamo buttato giù.
«Questa volta non ho intenzione di asservire un'altra legione di schiavi. Ne voglio solo uno, uno che sia in grado di fare ciò che voglio.» Non volevo altre seccature.
Sentii che camminò verso di me. Mi appoggiò una mano sulla spalla e si mise al mio fianco. Guardava il tetro paesaggio che si apriva fra la leggera nebbia.
«Ciò che noi vogliamo, sorellina.» mi "corresse".
La guardai.
Agli occhi dei mortali sarebbe parsa una bellissima donna. Anzi, ragazza. Una di diciannove anni non aveva l'aspetto di una vera e propria donna… aveva quel fascino che le donne adulte in parte perdono. E lei era veramente bella. Capelli e occhi di un marrone molto scuro, se non neri. Carnagione olivastra. I capelli, lisci, le arrivavano sino a metà della schiena.
Io le assomigliavo molto, ma lei era più grande di me. Di quattro anni. Una cifra insignificante nel carattere, entrambe vivevamo in quel mondo da ormai tremila anni, ma importante nell'aspetto fisico: io ero rimasta con un aspetto da quindicenne, lei da diciannovenne. Non mi lamentavo, anche se ero di parecchio più bassa di lei, a causa della minore età, e la cosa non mi piaceva.
Ma questi sono infimi dettagli dei quali non importava più di tanto nemmeno a me.
«Arién» la chiamai. In realtà non era il suo vero nome. Quando arrivammo in quel mondo, decidemmo di farci chiamare con un nome leggermente diverso da quelli che ci erano stati attirbuiti alla nascita, che sarebbero risultati troppo "estranei" in quella dimensione.
Si voltò verso di me con sguardo interrogativo.
«Mi sono stufata di questo posto.»
Lei mi guardò sbalordita.
«In senso ironico, vero?» mi rispose dopo alcuni secondi.
Scossai la testa.
«E cosa vorresti fare? Andartene? E dove?»
Le risposi con un sorrisetto malizioso. Sapevo che lei avrebbe capito tutto da quel sorrisetto, ci conoscevamo troppo bene.
Lei sembrava non capire: «Se vuoi andare vai, resterò qui a supportarti… e tenerti d'occhio.»
«Non ti ho chiesto il permesso, sorellona.» ridacchiai.
Anche lei rise.
«Ci rivedremo presto io e te, e cerca di non metterti nei guai, non voglio doverti badare come si fa con i bambini.»
Le sorrisi dolcemente. Le volevo bene, e lei ne voleva a me. Solo avevamo uno strano modo di dimostrarlo.
I pochi mortali che sapevano della nostra esistenza ci reputavano cattive, malvagie. Malvagie noi? Risi. Noi eravamo solo ciò che era nostra natura essere: ombre.
Perché noi eravamo più forti nella luce che nel buio, al contrario di quanto pensassero i mortali, ed è per questo che credevo che avremmo dominato quel misero mondo per sempre.
Mi diressi verso lo Specchio.
Quando mi ci trovai davanti, dentro quella fredda caverna di cristalli, salutai la mia sorellona un'ultima volta, e partii.
Mi sentii sprofondare nello Specchio.
«Sarò sempre al tuo fianco… Alexandra»
Non sentii più nulla.
Vivi come se tu dovessi morire domani, impara come se tu dovessi vivere per sempre.