Terminator Genisys, la recensione

Terminator Genisys, un titolo parlante. Genisys è il nome di Skynet quando era ancora un embrione, una tentazione per gli esseri umani attratti e ossessionati dalla tecnologia. Ma l’Uomo che vuol farsi Dio mettendo al mondo creature pensanti è ubriaco di onnipotenza quanto terrorizzato dalla prospettiva di finire come il dottor Frankenstein, inventore e padre di un mostro. Skynet, infatti, sfugge di mano ai suoi creatori, si ribella e decide di sterminarli. Capo della resistenza umana è il prode John Connor, suo fido alleato il soldato Kyle Reese. Il punto di partenza del film è noto, l’evoluzione maldestra: Skynet manda un robot indietro nel tempo ad uccidere Sarah Connor, madre dell’eroe in grado di guidare gli uomini contro le macchine. Un soldato offertosi volontario, però, viaggia nel tempo con lo scopo opposto: proteggere la donna che rappresenta l’unica speranza di salvezza per l’umanità.

Quello che succede poi dovrebbe sorprendere gli spettatori, rileggere una storia scritta molti anni fa sfruttando le possibilità offerte dagli spostamenti temporali, riaprire i giochi, andare all’origine del male (Genisys, ecco perché).

Sarah Connor non è la ragazzina ignara di tutto del primo film ma una guerriera affiancata da un robot programmato per proteggerla. Kyle rischia di farci la figura dello scemo: partito con in mente un’impresa eroica, si ritrova in una situazione che non sa gestire e dove è l’unico a non avere idea del suo destino, drammatico e già scritto.
Per fortuna ha un asso nella manica: un evento forte scatena in lui ricordi appartenenti a un’altra vita, a un’altra linea temporale. I protagonisti della saga possono finalmente interrompere la spirale di eventi di cui sono prigionieri, estirpare Skynet prima che nasca e vivere liberi.

Il risultato di questo ardito tentativo di riavvolgere il nastro, purtroppo, è deludente. Nonostante Kyle e Sarah siano finalmente liberi di innamorarsi spontaneamente, sembrano recitare un vecchio copione senza particolare convinzione.
I voli da un anno all’altro sono così frequenti e coinvolgono talmente tanti personaggi da confondere persino lo spettatore più attento e rendono lo stare dietro alla trama la vera impresa titanica del film.

Il tono è scherzoso: smorza grottescamente ogni possibile picco drammatico. Il terrore nei confronti dell’inumano, della macchina incapace di provare sentimenti, inarrestabile minaccia assassina, è neutralizzato dall’umanizzazione della stessa. Nel gigantesco robot, leggendario cuore della saga, prevalgono le emozioni: la tenerezza, l’ironia e addirittura l’amore.

Andare a vedere l’ultimo capitolo di Terminator non regala la sensazione di aver assistito a un colossal: povero di contenuti, confusionario nel plot, debole nel messaggio, è un film che passa quasi inosservato e fa pensare che sarebbe stato meglio non rileggere la storia originaria ma lasciarla riposare in pace.