Giochi e Videogiochi

The Last of Us part I, il remake era necessario? Il doppiopesismo della critica

L’annuncio di The Last of Us Part I ha fatto nascere diverse critiche tra utenti e critica specializzata: cosa non convince del progetto?

Alla fine dello show d’apertura della Summer Game Fest è stato annunciato l’arrivo imminente del remake di The Last of Us. Una notizia che ha fatto esultare tantissimi videogiocatori desiderosi di giocare al primo capitolo della fortunata saga Naughty Dog, specialmente coloro i quali non l’hanno mai potuto fare perché all’epoca dell’uscita non avevano una Playstation su cui giocarlo.

Contemporaneamente sono nati dei malumori, alcuni provenienti dall’utenza e altri dalla critica specializzata. L’utenza si è lamentata del prezzo del progetto, giudicandolo troppo alto per un videogioco che non è nuovo, ma è appunto un remake di un gioco già esistente sul mercato. Alcuni membri della critica si sono invece lamentati del fatto che quella di Sony sembra solamente un’operazione commerciale e dunque che in realtà i videogiocatori non ne avevano bisogno.

Concordo sul fatto che 80 euro per un videogioco siano troppi, ma non perché si tratta di un remake, semplicemente perché è una cifra troppo alta. Il fatto che il gioco non sia un semplice porting o una remaster giustifica di fatto il prezzo pieno, poiché storia a parte il codice di gioco è stato interamente riscritto e avremo una produzione nuova per quanto riguarda le animazioni, le cut scene e il gameplay. Dunque la questione non è che costi troppo The Last of Us Part I, ma che costano troppo i videogiochi in generale.

Se le lamentele del pubblico sono comprensibili ma evidenza del fatto che non conoscano come funzioni il mercato, quelle della critica sembrano esclusivamente poste per alimentare una  polemica sterile. La domanda che ci si pone è: avevamo bisogno di The Last of Us Part I? E la conclusione a cui si arriva è che questa è un’operazione commerciale. Al che mi chiedo io, ed invece tutte le altre non lo sono?

Alcuni esempi del doppiopesismo della critica videoludica

La tesi letta da più parti è che il gioco esisteva già su Ps3 in versione originale e su Ps4 in versione rimasterizzata. Dunque che tutti i possessori di Ps5 avrebbero potuto giocarlo in versione pompata sulla nuova ammiraglia. Il remake, dunque, servirebbe solo per guadagnare sul brand, offrendo all’utenza un’esperienza quasi identica a quella originale, solo un po’ svecchiata.

In questa analisi si dimentica il fatto che questo remake uscirà anche su Pc e che la versione 2013 del gioco avrebbe fatto storcere il naso a molti. Dunque non è forse un bene che si offra all’utenza Pc un gioco più moderno e rifinito? Passando poi all’utenza Ps5, i possessori non avrebbero visto come uno sgarbo il consegnare all’utenza Pc un gioco migliore e più moderno di quello che hanno a disposizione loro?

Vi sono pochi dubbi che questa sia un’operazione commerciale per sfruttare il brand, che servirà a dare maggiore visibilità alla serie tv e che invoglierà gli utenti pc a comprare il gioco sull’onda emotiva della serie. Dunque a livello economico e dal punto di vista di Sony si tratta di una mossa che ha molto senso. Ma il punto sollevato è se all’utenza serviva effettivamente un remake del titolo. Un dubbio lecito, ma che da conoscitori del mondo videoludico appare stonato.

Nessuno a partire dal 2017 (trend che continua tutt’ora) ha sollevato la medesima critica a Nintendo quando ha cominciato a portare su Switch dei semplici porting (dunque nessun upgrade grafico né di gameplay) di giochi che potevano essere giocati su Wii U. Anche in quel caso si trattava di un’operazione commerciale per far credere che vi fosse più abbondanza di quanto non ve ne sia in realtà nella line up Nintendo, ma soprattutto in quel caso era ancora più lecito mettere in dubbio l’utilità dell’operazione. Non sarebbe bastato a molti comprare Wii U e i titoli originali a minor prezzo per goderseli? Erano necessari per gli utenti?

Lo stesso ragionamento può essere fatto per tutti i titoli cross gen che sono usciti in questi due anni di nona generazione: che senso ha comprare le console nuove quando con quelle vecchie posso giocare agli stessi giochi? Sono necessarie? Sono necessarie le versioni current gen se i titoli girano anche su old gen?

Di storture nel mercato videoludico ce ne sono moltissime e lo stupore per il remake di The Last of Us palesato da alcune testate non è altro che un tentativo di sfruttare l’ondata d’indignazione per il prezzo del gioco. Perché nessuno a sollevato critiche quando sono stati annunciati porting di Skiyrim a prezzo pieno per ogni console esistente sul mercato nel corso degli ultimi 10 anni? In quel caso, visto che non c’è mai stato un lavoro di ricostruzione del codice di gioco, ma qualche lieve miglioramento grafico, aveva ragion d’essere il prezzo pieno?

Tutte le domande poste sono ovviamente retoriche, perché l’unica necessità che viene soddisfatta è quella di chi vende. Ma si dimentica il fatto che viene soddisfatta anche una domanda di mercato.

The Last of Us Part I non serviva? Playstation è vittima mediatica del ruolo di leader del mercato

Il mercato videoludico è pieno di tentativi di sfruttare la passione degli utenti per ottenere maggiore denaro, ma si tratta di una logica conseguenza della crescita del settore, ed in generale del funzionamento di un mercato: offro un prodotto per soddisfare una richiesta e un interesse. Logiche che oggi sono più evidenti perché c’è stata una crescita esponenziale dell’interesse sui videogiochi, le aziende investono maggiormente nel medium videoludico e cercano di trarre il maggior profitto possibile.

Il compito di un critico videoludico è quello di raccontare il mercato per quello che è e mettere al corrente i lettori della realtà dei fatti. Raccontare The Last of Us Part I come un tentativo iniquo di truffare gli utenti e poi tacere delle miriadi di operazioni simili, se non peggiori, che ci sono state e ci sono tutt’ora non è informazione, è sensazionalismo.

La verità è che Sony in questo momento è vittima del suo stesso ruolo di leader all’interno dell’industria. Se da un lato infatti gode del fanatismo sfrenato e cieco dei suoi supporter e clienti affezionati, dall’altro viene crocifissa per cose che se fatte da altri vengono considerate come normali o ininfluenti. Questo perché all’interno del settore c’è un’immaturità di fondo che porta all’incapacità di uscire dalle dinamiche del dualismo tra due aziende, viste come istituzioni religiose o enti no profit invece che per ciò che realmente sono.

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