Inside Out, la recensione del film d’animazione Disney Pixar

Riley vive una vita felice: ha due genitori amorevoli, un’amica fantastica, si diverte giocando a hokey. Le sue emozioni, riunite in un efficientissimo quartier generale, possono ritenersi soddisfatte. In particolare Gioia, leader indiscussa del gruppo, si assicura che ogni sera Riley si addormenti con il sorriso sulle labbra e che la sua memoria trabocchi di ricordi positivi.

Inside Out porta alle estreme conseguenze la crisi della fiaba tradizionale portatrice di valori inattuali e costruita sul modello del musical, che ha raggiunto le sue vette artistiche con i grandi classici di casa DisneyAladdin, Il Re Leone, La Bella e la Bestia – per poi degenerare nel patetico tentativo di restare ancorati a un glorioso passato: il vuoto fenomeno mediatico Frozen.

Inside Out è la rivoluzione: l’affermazione della tendenza sempre più viva nella letteratura contemporanea (romanzi, cinema, serie tv) a ripiegarsi sull’Uomo, sulla sua interiorità, esplorandone, accettandone e comprendendone anche i lati oscuri.

Il film si svolge interamente nella mente di una ragazzina costretta a confrontarsi con un momento cruciale della sua esistenza: il trasferimento dall’amato Minnesota a “San Franschifo”, che rappresenta una rottura con la vita ovattata condotta fino ad allora, la svolta, un passo importante nel suo percorso di crescita ormai alle soglie dell’adolescenza.

Le sue emozioni maturano con lei. Nel corso del film ci è concesso di spiare l’interiorità di altri personaggi, primi fra tutti i genitori di Riley, e di notare che le loro emozioni sono più equilibrate, amalgamate, capaci di collaborare rispetto a quelle della loro bambina. Hanno imparato, infatti, a fare gioco di squadra e nessuna prevale sulle altre.

Nel quartier generale della mente di Riley, invece, Gioia è affiancata da collaboratori importanti ma che considera suoi sottoposti. Paura serve a tenere Riley lontana dai guai ma va isolato prima che possa dar vita a immotivati attacchi di panico, Disgusto ha il compito di evitare che Riley venga avvelenata ma mai lasciarle il timone o la ragazza diventerà una snob insofferente. Rabbia, da parte sua, deve assicurarsi che Riley sappia difendere le proprie ragioni ma, se Gioia non intervenisse per calmarlo, scatenerebbe un putiferio per ogni sciocchezza!

E poi c’è Tristezza: goffa, malinconica, pessimista. Gioia non riesce proprio a capire a cosa serva se non a mandare all’aria tutto ciò che lei faticosamente, giorno dopo giorno, costruisce. Per questo, con la prepotenza di chi sente di essere sempre nel giusto, arriva addirittura a isolarla in un minuscolo cerchio perché non contagi i ricordi della bambina trasformandoli da radiosi in lugubri.

Immediatamente lo spettatore è infastidito dall’egocentrismo di Gioia: avverte che, nonostante abbia il nobile scopo di rendere Riley felice, c’è qualcosa che non quadra.

Il viaggio di formazione che Gioia e Tristezza conducono nell’interiorità più profonda di Riley serve a renderle pienamente coscienti del loro ruolo e a comprendere quanto siano complementari e indispensabili l’una all’altra.

Le due improbabili compagne di avventura imparano a conoscersi mentre conoscono meglio la loro protetta: entrano nei suoi sogni, nel suo subconscio infestato dalle sue più recondite paure, nei suoi pensieri astratti e incontrano un personaggio straordinario nella sua malinconica poeticità. È l’amico immaginario di Riley, Bing Bong, morbido e dolce come zucchero filato, un po’ elefante, un po’ gatto, un po’ delfino. Primo vero amico della bambina, con il sogno di portarla sulla luna, sappiamo sin dal primo sguardo che è destinato a scomparire, a essere lasciato indietro. Ed esce di scena nella maniera più dolce possibile: offrendo il suo razzo a propulsione canora per salvarla e chiedendo a Gioia di renderla felice.

La Gioia che ritorna al quartier generale non è più quella che se n’era allontanata: ha conservato la sua salvifica ostinazione nella ricerca della felicità ma ora sa anche farsi da parte per lasciar spazio alle altre sfumature della personalità di Riley.

Inside Out è un “elogio della tristezza”, una difesa della sua cruciale importanza. Quando si diventa grandi e si vivono le prime difficoltà della vita, è impossibile ostinarsi a sorridere se prima non ci si concede almeno un pianto liberatorio. La forza travolgente di Gioia, che salva dall’abisso, dal pessimismo, dalla depressione, che insegna a guardare sempre il lato positivo, non deve mai soffocare l’esigenza di ognuno di ascoltare e vivere il proprio dolore.

Inside Out è un capolavoro dal primo all’ultimo fotogramma: geniale e commovente. Fantastico nel mutare l’astratto in concreto, toccante e vero nel semplificarlo nella forma ma mai nella sostanza.