Game of Thrones 4×06: The Laws of Gods and Men, la recensione

È andato in onda domenica il sesto episodio della quarta stagione di Game of Thrones (Il Trono di Spade in Italia), la serie televisiva fantasy creata da David Benioff e D.B. Weiss, trasposizione del ciclo di romanzi de Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco (A song of Ice and Fire) di George R.R. Martin.

Sono lieta di recensire un episodio che lascia senza fiato. Si finisce, sulle note della puntuale e meravigliosa The Rains of Castamere, con gli occhi sgranati e la pelle d’oca. Il merito è di due persone perfettamente fuse in una sola: il Folletto, Tyrion Lannister, e il suo straordinario interprete: il pluripremiato – e a ragione! – Peter Dinklage.

[su_note note_color=”#fff9a6″ radius=”6″ su-note-inner=”box-spoiler” ]Avvertiamo i lettori che la seguente recensione contiene spoiler sulla trama. Se non hai visto l’episodio o non vuoi rovinarti eventuali colpi di scena non continuare a leggere![/su_note]

Game of Thrones 4x06: The Laws of Gods and Men, la recensione

Il processo per regicidio – Tyrion è accusato da sua sorella Cersei, regina reggente, di aver assassinato il di lei primogenito Joffrey Baratheon – occupa la maggior parte del tempo ma anche altri scenari e situazioni cruciali fanno capolino e meritano attenzione.

Le vele rosse della nave di Stannis Baratheon ci conducono ad Oriente: conosciamo quella delle città libere che più volte avevamo sentito nominare. Entriamo a Braavos, superando il suo imponente colosso.
Siamo qui per l’ingresso trionfale, nella serie, del mondo dell’economia: il burbero pretendente al trono e il suo fidato Primo Cavaliere Davos Seaworth sono andati a chiedere un ingente prestito alla prestigiosa Banca del Ferro. Il funzionario che li accoglie parla loro con la calma e l’equilibrio di un vero matematico, uno di quelli che conoscono soltanto il linguaggio dei numeri (= badano ai fatti… o, meglio, ai dati).
Quando le cose stanno per volgere al peggio – la Banca non sembra interessata alle promesse di Stannis – Davos declama la sua dichiarazione d’amore incondizionato per il suo re, mostrando concretamente ai suoi interlocutori che Stannis Baratheon è un uomo di parola (per la prima volta si toglie il guanto mostrandoci le dita mozzate di cui va fiero).

Dall’incontro con Sallador Saan, che rientra in scena con un’esilarante barzelletta piratesca, capiamo che il prestito è stato ottenuto. Potrà la guerra esser vinta con il denaro? Avrà fatto bene la Banca del Ferro a scommettere su Stannis piuttosto che sui Lannister?

Ci spostiamo di nave in nave. Questa volta siamo con Yara Greyjoy e gli uomini di ferro, che si lasciano incantare e motivare da parole piene di eroismo , dignità e lealtà nei confronti del proprio principe prigioniero. Le intenzioni della coraggiosa Piovra sono nobili ma la ragazza non può immaginare a cosa va incontro: Reek. Theon, infatti, non esiste più: la sua degenerazione, invece, giace in una gabbia insieme alle cagne di Lord Ramsay.
All’arrivo di sua sorella, Theon/Reek è convinto si tratti di un inganno architettato dal suo aguzzino per mettere alla prova la sua fedeltà. Come un pazzo, urla la sua nuova identità e la sua assoluta devozione al padrone, morde il braccio di Yara, piange implorando di essere lasciato lì, al suo posto. Ho trovato perfetta e toccante l’interpretazione di Alfie Allen, che ha dichiarato di sentire Theon e Reek come due personaggi distinti.
Quello cui assistiamo basiti, oltre che uno sdoppiamento di personalità, è una sorta di sindrome di Stoccolma: il prigioniero ama, ormai, il suo carceriere. La cosa più interessante di questo spezzone, però, è stata il percepire che anche il carceriere sembra amare il suo prigioniero.

Liberatosi degli intrusi e costretta Yara ad un’ingloriosa ritirata (quasi ridicola se confrontata con le aspettative che il suo discorso aveva creato), Lord Ramsay premia il suo fidato servitore: gli offre un bagno, gli fa lui stesso un bagno. Nel lento movimento con cui solleva la spugna e la poggia sulla schiena di Reek, nel brivido con cui egli reagisce, ho colto una sfumatura erotica: il legame tra i due è ancora più morboso di quanto ci fosse sembrato finora. Ramsay ha chiaramente bisogno di Reek, in modo malato tiene a lui, ne desidera l’amore, non la semplice obbedienza. “Do you love me, Reek?” gli chiede, a conferma dei nostri sospetti. Gli concede, infine, un ulteriore privilegio: fingere di essere se stesso.

Game of Thrones 4x06: The Laws of Gods and Men, la recensione Di volata raggiungiamo di nuovo l’Oriente. Un’ombra offusca il viso gioioso di un bambino e noi temiamo il peggio. Per fortuna, però, Drogon, il più grande dei draghi di Daenerys, ci dà ancora soltanto l’impressione di esser diventato un’immane bestia sanguinaria. Arrostendo solo un paio di capre, infatti, ci rassicura: deve essere ancora il tenero pargoletto che abbiamo conosciuto nella prima stagione!
Naturalmente, di fronte alle sue bravate, sua madre – ormai regina di Meereen – fa un sorriso sornione (Son ragazzi!) e promette al padrone del gregge un rimborso insperato.
Ma non tutte le visite saranno così poco problematiche per lei. Hizdahr zo Loraq, per esempio, le darà parecchio filo da torcere. Finalmente qualcuno le pone le obiezioni che tutti noi avremmo voluto sollevare finora.
Per prima cosa la paladina della libertà dovrebbe rivedere il suo concetto di giustizia: punire crimini con altri crimini vuol dire forse essere giusti? È questa la domanda che le viene posta. Per fortuna la nostra Daenerys non è una Stark o nessuno sarebbe riuscito a smuoverla dalle sue posizioni: mostra una discreta capacità di mettersi in discussione e addirittura acconsente a rivedere il suo provvedimento concedendo a Hidzahr di seppellire suo padre, uno dei nobili crocifissi per vendicare i bambini sacrificati dal regime precedente. Mette ancora l’umana compassione e i buoni sentimenti prima delle idee.

Ad Approdo del re l’aria è tesa e, per il processo dell’anno, sembra siano stati chiamati tutti a raccolta. Assistiamo al grande ritorno di Lord Varys, che finora era rimasto in sordina e che dialoga con Oberyn Martell facendoci accapponare la pelle.
Il principe dorniano sembra conoscere un unico linguaggio, quello del sesso. Varys disprezza, invece, il desiderio: lo considera un cancro che consuma uomini e reami, una pericolosa distrazione da ciò che conta davvero. “E cosa?” chiede la Vipera Rossa. Lo sguardo del Ragno, indirizzato alla sedia più scomoda dei Sette Regni, è più eloquente di mille parole.

A prelevare il prigioniero dalla sua cella è un singolare Jaime Lannister. In questa puntata lo Sterminatore di re sembra trovarsi in una posizione scomoda: tra due fuochi. Il primo: Cersei, sua sorella e amante, che più volte l’ha implorato di vendicare la morte del loro Joffrey uccidendone il presunto assassino, e il secondo: Tyrion, arrabbiato perché suo fratello non ha fatto ancora niente di concreto per salvarlo.
In questo episodio le intenzioni di Jaime appaiono chiare: arriverà a promettere a suo padre di lasciare la Guardia Reale purché gli assicuri che Tyrion non muoia.
Si avvicinerà, nel bel mezzo di un processo sfibrante, all’imputato, lo rassicurerà, infrangerà la cappa di solitudine e incomprensione che lo avvolge. “Ti fidi di me?” gli sussurrerà, e Tyrion annuirà, con sguardo amaro ma commosso.

Game of Thrones 4x06: The Laws of Gods and Men, la recensioneTestimoniano contro di lui la sua implacabile sorella, il viscido Gran Maestro Pycelle – che fornisce prove decisive e ne approfitta per vendicarsi degli affronti subiti –, l’insulso Meryn Trant e il vecchio falso amico Varys. A lui Tyrion vuole chiedere se abbia dimenticato quel che gli disse un tempo, e cioè che gli era debitore per aver salvato la città. Il Ragno dà una risposta criptica: “Sfortunatamente, mio Lord, non dimentico nulla“.
Al termine della sua testimonianza, si sospende per un’ora il processo. È in questo frangente che Lord Tywin, oltre a concedersi un pasto frugale, ha il su menzionato dialogo col figlio maggiore Jaime.

Suonano le campane. Mentre Jaime istruisce Tyrion su cosa chiedere dopo esser stato condannato, sul non fare bravate, rientra la corte. Diversi ma tutti molto professionali, i giudici del processo sono Lord Tywin, Mace Tyrell – sua emanazione in attesa di premi futuri – e Oberyn Martell, che sembra il più interessato ad andare oltre la farsa che si sta mettendo in scena, ad appurare effettivamente la colpevolezza o l’innocenza di Tyrion.
Viene chiamato un nuovo testimone.
Il Folletto si volta leggermente. La vede: Shae – che ormai tutti (?) credevamo di non rivedere più – entra nella sala. Capiamo che è lei ancor prima di vederla, lo capiamo negli occhi di Tyrion, nel respiro che gli si fa affannoso. La segue con lo sguardo senza riuscire a riprendere fiato. Ella, guardando terra, giura su tutti gli dei che la sua testimonianza sarà onesta e, sempre guardando terra, dice Tyrion colpevole. Ogni speranza svanisce in quell’istante, Tyrion si accascia nel suo banco, per non rialzarsi che alla fine.
L’interessato Oberyn Martell chiede alla testimone come mai una semplice cameriera sappia tante cose. È qui che trovano seguito le ultime parole che gli amanti si erano scambiati prima che lei partisse. “Ero la sua puttana”, e rilegge tutta la loro storia alla luce di questo. Tyrion la prega di fermarsi. Con la voce rotta gli ripete “Sono una puttana, ricordi?”.

Cominciano ora i due minuti e mezzo più lunghi dell’intero episodio e di molti altri assieme. Sotto lo sguardo impotente del fratello, un Tyrion senza più nulla da perdere, schifato da tutto ciò che ha attorno, confessa rabbioso di essere colpevole: colpevole di essere un nano, perché è tutta la vita che viene giudicato per questo! Non ha ucciso Joffrey ma avrebbe voluto farlo, e non vuole morire per un omicidio che non ha commesso. Poiché sa che giustizia in quel processo non può averne, vuole che siano gli dei a decidere il suo destino: chiede un processo per singolar tenzone. Tutto questo è detto d’un fiato, a denti serrati, amaramente, da un magistrale Peter Dinklage.