Game of Thrones 5×03: High Sparrow, la recensione

Guardo un altro episodio, il terzo della quinta stagione di Game of Thrones, e la mia impressione è sempre la stessa: si comincia a fare sul serio. Personaggi sempre più maturi combattono le loro battaglie, quelle che erano state preparate nel corso delle stagioni precedenti. Quasi tutti, ormai, giocano a carte scoperte.

[su_note note_color=”#fff9a6″ radius=”6″ su-note-inner=”box-spoiler” ]Avvertiamo i lettori che la seguente recensione contiene spoiler sulla trama. Se non hai visto l’episodio o non vuoi rovinarti eventuali colpi di scena non continuare a leggere![/su_note]

Arya Stark, sfrontata come D&D amano dipingerla, si lamenta del suo lavoro di sguattera presso la Casa del bianco e del nero. Tocca ancora a Jaqen H’ghar darle lezioni di umiltà: “Valar dohaeris“, tutti devono servire.

Il dio toccato in sorte alla piccola Stark si addice alla sua vocazione di assassina: il dono che dispensa è la morte. Eppure la Stark è ancora troppo umana per pensarlo come un privilegio: appare sgomenta di fronte al devoto che, ringraziato il dio, si lascia morire ai suoi piedi. Le prove che dovrà affrontare nelle scene successive saranno addirittura più sconvolgenti: un’inserviente la sottopone al gioco delle facce, picchiandola perché è ancora se stessa. Pur di raggiungere il suo scopo, però, Arya è pronta a tutto, persino ad annullarsi completamente. Quando abbandona i suoi affetti in mare abbiamo il terrore che stia finalmente rinunciando al suo cuore. La nostra ultima speranza? Quella spada che fu dono d’amore prima che arma di difesa. Con nostro immenso sollievo Arya Stark non si libera di Ago, del suo passato, dei suoi ricordi, della sua identità.

Ad Approdo del re si celebra l’ennesimo matrimonio. Questa volta a coronarlo non è una strage ma un discutibile amplesso tra la bella Margaery e un ragazzino completamente in suo potere: re Tommen Baratheon. La giovane regina sembra tenere, tra le sue abili e leggiadre dita, le fila dell’intera corte, compresa la Leonessa in gabbia Cersei Lannister. Quest’ultima ci appare stranamente prostrata e impotente mentre la nuora tenta di spedirla a Castel Granito e si fa beffe di lei insieme alle amiche. È impegnata, però, su altri fronti: la Corona è costretta a far fronte all’avanzata dei fanatici, l’Alto Septon è stato umiliato pubblicamente e Cersei Lannister si reca in prima persona in mezzo ai miserabili.  Sorprende il suo atteggiamento nei confronti dell’Alto Passero, il carismatico leader – dai tratti vagamente messianici – dei nuovi devoti: la regina madre sembra condividerne le idee e, a sorpresa, dichiara di volersi alleare con lui piuttosto che con il rappresentante ufficiale del Credo. Il santone, davanti alla prospettiva di una stretta di mano, sgrana gli occhi rivelandoci la sua natura terrena: è evidente che, per lui, avere l’appoggio del re sia un vantaggio notevole e insperato… un dono dal cielo. Per quanto riguarda la Leonessa di Lannister, come al solito non siamo certi che sia sincera e ci chiediamo cosa abbia in mente.

Quello che ricordavamo come il più grande architetto di Westeros e che in questa stagione, forse per la poca aderenza ai romanzi, sta deludendo, accompagna la sua protetta nelle fauci del mostro: Sansa Stark, per riprendersi il Nord, è costretta a passare attraverso il matrimonio con Ramsay Snow – ormai Bolton – il figlio dell’uomo che le ha ammazzato il fratello. Nonostante questa singolare scelta degli autori abbia inorridito centinaia di lettori (non è Sansa a sposare il bastardo sanguinario nei libri), riesco a comprenderla e persino a condividerla. Mi rendo conto che introdurre un personaggio che si fingesse Stark per assicurare il Nord ai Bolton sarebbe stata l’ennesima complicazione di una trama già fitta e difficile da seguire. Avrebbe, inoltre, annoiato quegli spettatori, me compresa, che vogliono vedere i personaggi a cui sono affezionati sulla scena e non una sfilza interminabile di new entries.

Sono fiduciosa: non penso che l’evoluzione di Sansa si arresterà o regredirà. Anche in questo episodio mi è parsa meravigliosa, così come la sua interprete: piena di dignità quando voleva sottrarsi al terzo sposo imposto, ancor più dignitosa quando ha deciso di fare appello alla sua forza inesauribile accettando per l’ennesima volta una sorte avversa ma nella speranza, questa volta, di poterla volgere a suo vantaggio. L’ingresso nella dimora dell’infanzia ormai profanata non ha seminato soltanto il terrore nella mente dello spettatore: ha insinuato, invece, anche un certo senso di orgoglio. Una Stark è tornata a Grande Inverno e, anche se ora tutto sembra a vantaggio dei suoi carcerieri, il Nord ha una chance di riprendersi i padroni che merita.

Game of Thrones 5x03: High Sparrow, la recensione

Tra le mura della fortezza un tempo inespugnabile scorgiamo, aggirarsi come un’ombra, il fu Theon Greyjoy. Reek, anche grazie all’espressività sempre ineccepibile di Alfie Allen, sa parlarci pur restando in silenzio. Vedere Sansa, per lui, è un misto di paura e vergogna. Sa bene di essere responsabile di tutti quegli orrori. Anche ora che non è nessuno, non può evitare di maledire lo stolto ragazzo che è stato.

In molti hanno valutato inutile lo spazio riservato a Brienne in questo episodio. Come se conoscerla meglio, sentire di ciò che l’ha resa quella che è, fosse superfluo, trascurabile. Vedere il suo legame con Pod farsi sempre più stabile, non dovesse rivelarsi funzionale alla trama, ci regala comunque momenti di squisita umanità. I due cavalieri, infatti, sono due emarginati, rifiutati dalla società e persino dai loro protetti, ma restano tra i pochi, a Westeros, impegnati in una nobile missione.

Lord Snow, dopo esser stato eletto comandante dei Guardiani della notte, deve dimostrare di essere un capo credibile nonostante la giovane età. Kit Harington tenta maldestramente di fare battute di spirito; per fortuna i suoi compagni apprezzano, si sentono rappresentati. Più difficile che far ridere si rivela essere dare degli ordini. Janos Slynt, non contento del compito assegnatogli, pensa di mettere in discussione l’autorità del Lord comandante appellandosi ad argomentazioni già sentite e scadenti. Con un fendente ben assestato, Jon Snow convince tutti: i compagni, re Stannis che lo guarda ammirato, e noi spettatori, fieri della sua fermezza.

Tyrion finalmente convince un incauto Varys a fare un giro fuori dalla carrozza. Il Folletto non sembra aver rinunciato alle vecchie abitudini: la sua prima meta è un bordello. Dopo aver adescato una fanciulla del posto, però, si renderà conto di non essere più quello di una volta. Aver ammazzato una puttana lo ha reso intollerante all’intera categoria. L’eunuco, come Ditocorto, sembra aver perso colpi quanto ad astuzia. Entrambi appaiono meno convincenti e ammalianti del solito. Varys, addirittura, se ne sta appollaiato su una sedia, assorto in chissà quali pensieri, mentre il suo compagno di viaggio si fa rapire da un disperato ed evidentemente pronto a tutto Jorah Mormont.

L’episodio è caratterizzato dall’oscurità: ogni ambientazione sembra tetra, poco illuminata; sono mancate Dorne e Meereen. L’aria si fa sempre più plumbea e annunciatrice di tetri sviluppi. Nonostante ciò, il materiale di partenza continua a sembrarmi ben gestito e gli eventi avvincenti. Il mio giudizio è positivo: il lavoro degli autori, in grado di dar vita a un prodotto di qualità nonostante le numerose difficoltà nell’adattamento, è ammirevole.