Game of Thrones 5×07: The Gift, la recensione

The Gift è un dono per tutti: un episodio che lascia il segno in una stagione intensa ma ancora lenta e priva di svolte significative.

[su_note note_color=”#fff9a6″ radius=”6″ su-note-inner=”box-spoiler” ]Avvertiamo i lettori che la seguente recensione contiene spoiler sulla trama. Se non hai visto l’episodio o non vuoi rovinarti eventuali colpi di scena non continuare a leggere![/su_note]

Alla Barriera sono tutti in partenza: Jon verso la sua controversa missione, maestro Aemon dalla vita terrena, Stannis Baratheon alla conquista di Grande Inverno. A Samwell Tarly toccherà affrontare solitudine e abbandono.

Stai perdendo tutti gli amici” gli sussurra minaccioso ser Alliser Thorne, non mostrando rispetto per la cerimonia in onore del maestro appena scomparso. Ora che è rimasto solo, però, l’insicuro attendente non si troverà soltanto davanti a numerose minacce ma avrà anche finalmente l’occasione di crescere, di mettersi in gioco. Lo dimostra la scena in cui si rialza dopo esser stato pestato a sangue, determinato a proteggere la donna che ama. Anche il legame con Gilly farà un significativo passo avanti: da casto e romantico diventerà carnale portando un altro Corvo a vanificare la parte forse più formale e dura del giuramento: quella che nega l’amore.

La Bruta, però, forse non potrà restare a lungo al Castello Nero: ce lo suggerisce l’incapacità sostanziale di Sam di difenderla dalla violenza dei suoi confratelli ma soprattutto una frase di Aemon, pronunciata in punto di morte: “Porta tuo figlio a Sud, Gilly, prima che sia troppo tardi!

Nel delirio dell’agonia, il saggio e sensibile maestro torna alle origini, al suo sangue di drago. Ogni volta che si parla di Targaryen, si sa, aleggia lo spettro di profezie o di possibili pretendenti al trono di spade. Eppure non riusciamo a decifrare il senso di quel ripetere incessantemente il nome di Egg. Dobbiamo accontentarci di considerarlo un ricordo d’infanzia privo di sviluppi futuri?

Le partenze di Jon e di Stannis sono entrambe delle scommesse: al primo viene ribadita per l’ennesima volta l’ostilità della confraternita; il secondo, invece, viene redarguito dal fido consigliere ser Davos. Inutili le sue raccomandazioni: in questa stagione re Stannis giganteggia mentre il primo cavaliere gli fa da spalla.

Marceremo verso la vittoria o verso la sconfitta. Ma andremo avanti, soltanto avanti” sono le parole del sovrano che ci fanno accapponare la pelle. Questa volta facciamo il tifo per lui: ci ha convinti. Si è dimostrato un uomo deciso, pronto a rischiare tutto pur di non arrendersi, non più in balia dei suoi consiglieri perennemente in disaccordo. Anche in questa puntata, inoltre, si conferma come uno dei padri inaspettatamente più amorevoli della saga. I nostri sospetti sulle intenzioni di Melisandre erano fondati: ciò che lei o il suo signore hanno in mente per la piccola Shireen è agghiacciante. Stannis, però, per ora sceglie di non essere l’Agamennone pronto a sacrificare la propria figlia pur di assicurarsi una spedizione vittoriosa. Il peso dell’illustre modello prima o poi lo schiaccerà? Le fiamme dell’inquietante donna rossa si dimostreranno ancora una volta veritiere e ineluttabili? Speriamo di no, anche se un tremendo presagio ci attanaglia.

A Grande Inverno le cose si fanno ancora più spiacevoli: sia noi che Sansa avevamo confidato nell’aiuto del fu Theon Greyjoy ma sia noi che Sansa avevamo commesso un errore da dilettanti. Per l’ennesima volta voglio elogiare la bravura di Alfie Allen e Sophie Turner che, nella disperata scena della richiesta d’aiuto, danno il meglio di sé. Lei che ripete “Theon” cercando di risvegliarlo dal torpore, lui che risponde instancabilmente “Reek”. Con un cenno del capo, però, sembra abbia deciso di accontentare Sansa realizzando ciò che egli stesso vorrebbe più di ogni altra cosa: la rovina del suo carnefice. A illuderci è la colonna sonora che accompagna i suoi passi verso la torre: l’inno di casa Greyjoy, che non ascoltavamo dalle “gloriose” imprese di Asha. “La piovra è tornata” pensiamo carichi di orgoglio e speranza ma la magia è miseramente interrotta dalle parole di Ramsay: “Sì, Reek?

Forse Theon non era pronto ad affrontare le sue più oscure paure o forse ha voluto insegnare a Sansa che le conviene obbedire al suo nuovo padrone piuttosto che provocarlo. Di fatto la Stark riceve l’ennesima doccia fredda: proprio mentre, sicura di sé, punzecchia il marito con una sfacciataggine che la fa assomigliare a sua sorella minore, Ramsay le fa un dono alla maniera del buon vecchio – e ormai rimpianto – Joffrey. La vecchia che si era offerta di aiutarla al suo arrivo a Grande Inverno è stata barbaramente scuoiata: Reek ha confessato. Nonostante le cose volgano per l’ennesima volta al peggio, qualcosa ci dice che c’è ancora una tenue speranza che vengano ribaltate: forse l’imponente e rassicurante immagine di Brienne in attesa di un segnale oppure la determinazione di Stannis o l’oggetto misterioso che Sansa ha raccolto camminando sulla neve. Infine – e, per quanto mi riguarda, non per importanza – ci sono l’umanità sepolta di Theon e il suo desiderio di vendetta, che potrebbero esplodere da un momento all’altro.

Game of Thrones 5x07: The Gift, la recensione

A Meereen Daario e Daenerys, a letto, affrontano le conseguenze delle più recenti decisioni della regina. Daario vorrebbe che sposasse lui piuttosto che il suo attuale promesso e, dopo esser stato rifiutato, tira fuori una delle perle di saggezza che gli riescono tanto bene in questa stagione: “Sei l’unica persona, in questa città, a non essere libera.” È la verità: Daenerys è una regina e sul suo capo grava una pesante spada di Damocle. L’ultimo consiglio del mercenario, prima che la notte finisca, è di radunare i Saggi Padroni il giorno dei Grandi Giochi e ammazzarli tutti. “Ogni re è macellaio o carne da macello” motiva.

Con il nuovo giorno arrivano, per Daenerys, nuove responsabilità: è il momento di far visita alle fosse di combattimento che, per far cessare la guerriglia, lei stessa ha fatto riaprire. Per un curioso scherzo del destino, la regina si ritrova nell’arena tra i cui gladiatori c’è una sua vecchia e sempre innamoratissima conoscenza. Jorah, poco prima venduto all’asta, sorride estatico al primo scorgere della sua amata khaleesi e si lancia nella mischia sterminando chiunque gli capiti a tiro pur di attirare la sua attenzione. La scena, seppur eccessivamente carica di pathos, ci emoziona e, quando il cavaliere dell’Ovest si sfila l’elmo, ce ne stiamo con il fiato sospeso ad aspettare di scoprire, negli occhi di Daenerys, una commozione identica alla nostra. Il suo volto, invece, si indurisce. Incassiamo il colpo a malincuore ma con la consapevolezza di avere ancora un asso nella manica: Tyrion Lannister è riuscito a liberarsi dalle catene e, come al solito, sopraggiunge al momento giusto. È lui il dono, o meglio uno dei doni, dell’episodio: la moneta con cui ser Jorah intende ricomprare la fiducia della sua regina. Sentire il Folletto pronunciare di nuovo il suo nome, dopo tante peregrinazioni, nascondigli e pugni in faccia, ci riempie d’orgoglio. Vogliamo vederlo di nuovo giocare al gioco del trono.

Dorne è per l’ennesima volta scenario di autentiche buffonate. Il dialogo tra Jaime e sua nipote-figlia è imbarazzante. Mostrare che Jaime abbia dei figli a cui non è mai stato accanto perché non li considerava tali? D & D, lo state facendo nel modo sbagliato. In qualsiasi modo la si rigiri, il povero Jaime deve sempre farci una pessima figura! Quasi quasi rimpiango il presuntuoso snob della prima stagione: poteva non piacere ma aveva una sua dignità. Questo Jaime è un Fantozzi schiaffeggiato da una parte e dall’altra. Il tutto è perdonabile soltanto alla luce del fatto che la psicologia del singolo personaggio è un minuscolo tassello di un enorme puzzle. Un tassello un po’ più grande dell’affascinante mente del mio personaggio preferito, però, la storyline dorniana, fa acqua da tutte le parti. Tutti noi ci eravamo accorti che Bronn era stato colpito da un pugnale, probabilmente avvelenato, di una Serpe. Ci aspettavamo, perciò, di doverci preparare a dire addio al simpatico mercenario. Invece, dopo l’ennesimo siparietto da commedia all’italiana, con tanto di spogliarello e canzoncina – cantata divinamente, per carità! – Tyene Sand offre al prigioniero l’antidoto al veleno che lo sta consumando. Quel che ci chiediamo è: perché? Una parte di me è stuzzicata dall’enigma e si augura che le Serpi abbiano un piano che possa, finalmente, sconvolgerci; l’altra parte nutre ben poche speranze. Dorne è il fallimento della quinta stagione.

Game of Thrones 5x07: The Gift, la recensione

Approdo del re, invece, fa il botto. Margaery Tyrell è un gatto selvatico. Bellissima anche se sporca e coperta di stracci, ha ancora la forza di pugnalare la sua avversaria: “Gentilezza e premura non sono doti che ti appartengono, forse è per questo che tuo figlio ti ha facilmente sostituita con me.

Tommen, infatti, proprio in questa puntata, per la prima volta, alza la voce. Lo fa per affermare con forza i suoi sentimenti: l’amore e la frustrazione di un re che non può far nulla per salvare la sua regina. Il cuore di Cersei va in pezzi: Lena Headey deglutisce e sembra pietrificarsi per un attimo ma poi decide di non arrendersi. Dopo una struggente dichiarazione d’amore materno prosegue la sua crociata anti-Tyrell.

Sul fronte opposto, intanto, la regina di Spine ha un dialogo interessante con l’Alto Passero. Speriamo che con il suo cinismo annienti il fanatico ma il santone è sostenuto da Dio e dal popolo: niente può fermarlo.  Per la prima volta vediamo Olenna Tyrell allontanarsi con la coda tra le gambe ma, proprio allora, anche lei riceve un dono. Arriva da Petyr Bealish, che ci dà conferma di aver soltanto finto con Cersei nello scorso episodio. Alla sua vecchia complice consegna “un ragazzo bellissimo”. Ci chiediamo di chi si tratti anche se possiamo intuirlo. Poco dopo lo vediamo avanzare affiancandosi all’Alto Passero pronto a sferrare il suo colpo decisivo. Lancel Lannister ha confessato i suoi peccati, trascinando all’Inferno un altro rappresentante del potere terreno, quello che, tremendamente incauto, si era fabbricato la sua trappola con le sue stesse mani.

Quando delle donne in abito talare afferrano Cersei, la Headey è una belva furente. Minaccia i suoi carcerieri di morte ma questa volta non riusciamo a crederle: una porta di legno si chiude sulle sue urla e sul suo sguardo ancora fiero. La leonessa è in gabbia.